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Articoli per la parola chiave ‘OSAS’

Non chiamatelo "semplice!"

Comunemente definiamo “Russamento semplice” la presenza del rumore notturno in assenza di apnee, e lo consideriamo un disturbo benigno, almeno per il soggetto (non certo per il partner!).

La realtà è più complessa: i disturbi respiratori del sonno si caratterizzano come un continuum, in cui ogni livello sfuma progressivamente nel successivo:

  • Il russamento occasionale e leggero è un evento che può capitare a tutti, ad esempio in occasione di un raffreddore o di una faringite, oppure dopo una cena con abbondante accompagnamento di alcoolici. Di solito non comporta effetti significativi, rumore a parte.
  • il russamento abituale non è altrettanto inoffensivo. Qui la parziale ostruzione respiratoria è presente quasi ogni volta che il soggetto dorme, e può accompagnarsi a disturbi significativi:  nei russatori abituali possono essere presenti, in misura molto superiore che nei soggetti non russatori, due importanti fattori di rischio per la sopravvivenza del paziente: l’ ipertensione arteriosa e la sonnolenza diurna (Portaluppi et al. 1997, Peppard et al. 2000Smith-Battagel 2004). Inoltre il livello di benessere soggettivo, misurato con diverse scale di autovalutazione, diminuisce in presenza di russamento abituale. Ovviamente il benessere del partner, e quindi anche la qualità  delle relazioni di coppia, è influenzato soprattutto dalla intensità e dalla frequenza del russamento.
  • il russamento abituale può causare sforzi importanti per mantenere aperte le vie aeree, al punto da determinare micro-risvegli (arousal). In questo caso  il disturbo viene definito con un nome complicato: “sindrome da resistenza delle vie respiratorie superiori” (Upper airways respiratory syndrome = UARS); è in sostanza una forma intermedia fra russamento e apnea del sonno. In questa forma di ostruzione respiratoria la probabilità che siano presenti anche ipertensione e sonnolenza diurna è più elevata. Non c’è diminuzione della ossigenazione del sangue, a differenza che nella OSAS.
  • Al di sopra di un livello definito di ostruzione respiratoria (AHI maggiore di 5) si parla di sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS). Qui la respirazione si ferma del tutto, e la situazione è ancora più grave. La esaminiamo nella pagina dedicata alle apnee del sonno.

Mortalità

18 maggio 2010 @ 21:49

Come abbiamo visto la sindrome delle apnee del sonno (OSAS) può causare direttamente la morte (incidenti) e influenza in modo pesante numerose malattie (soprattutto del cuore e delle arterie) che a loro volta possono determinare la morte. La figura che segue è tratta dal più importante studio epidemiologico sulla OSAS svolto finora nel mondo, il Wisconsin Sleep Cohort Study. I soggetti presi in considerazione sono i dipendenti della pubblica amministrazione dello stato del Wisconsin (USA). Si tratta quindi di persone sane, ovvero con le stesse percentuali di probabile patologia che ha il resto della popolazione. La variabile considerata nel grafico è la mortalità globale, indipendentemente dalle cause di morte, in relazione alla presenza e alla gravità della OSAS.

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Come si vede la mortalità generale dei soggetti senza OSAS (linea spezzata che corrisponde ad AHI minore di 5) è piuttosto bassa, inferiore al 5% nei 18 anni considerati dallo studio; questo è normale, trattandosi di soggetti mediamente abbastanza giovani.

La mortalità sale circa:

  • al doppio quando si considerano i soggetti con AHI fra 5 e 15 (OSAS lieve)
  • a più del triplo per i soggetti con AHI fra 15 e 30 (OSAS moderata)
  • a circa 10 volte di più nei soggetti con OSAS grave (AHI superiore a 30).

In altri termini, più del 40% dei soggetti con OSAS grave sono morti entro i 18 anni dell’inizio dello studio, contro meno del 5% dei soggetti senza OSAS.

Il grafico che vi mostriamo più avanti è ricavato dallo studio di He et al. (1988), che parte da un presupposto diverso: l’indagine è stata eseguita non su soggetti sani ma su pazienti curati per OSAS di diverse gravità nei servizi pneumologici di un grande ospedale. All’epoca la valutazione della malattia veniva fatta con un indice diverso da quelli attuali, lo Apnea Index (AI);  i soggetti sono divisi in due soli gruppi: quelli con AI inferiore a 20, che possiamo considerare affetti da OSAS lieve o moderata e quelli con AI superiore a 20, che possiamo considerare affetti da OSAS grave.

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Come si vede nel grafico di sinistra nella figura, la mortalità per la OSAS grave è molto elevata, anche più che nello studio citato prima: circa il 40% dei pazienti con OSAS grave sono morti entro 8 anni.  Questa differenza è prevedibile, dato che si tratta di pazienti ospedalieri anzichè di impiegati “sani”.

Nello stesso studio è stata fatta anche una differenziazione dei soggetti in base all’età. I risultati sono mostrati nel grafico di destra, che evidenzia una mortalità molto simile a quella generale anche nei soli soggetti con più di 50 anni (circa 50% di morti entro 8 anni). Questo significa che la mortalità dovuta ad OSAS è molto elevata indipendentemente dall’età dei soggetti, cioè che i soggetti relativamente giovani muoiono per OSAS quasi quanto quelli più anziani.



Limiti della terapia

17 maggio 2010 @ 22:09

Come tutte le cure, anche l’uso degli apparecchi dentali non è adatto ad ogni situazione. Cerchiamo qui di sintetizzare i limiti della applicazione di questa tecnica:

  • In generale, e soprattutto per le forme gravi di apnea del sonno, la terapia ventilatoria con la CPAP è più efficace nel ridurre gli indici di apnea (AHI e altri). Questo rimane vero anche se
  • L’altra terapia che risulta di solito più efficace di quella con apparecchi dentali è la chirurgia maxillo-facciale: l’intervento di avanzamento maxillo-mandibolare risulta efficace nel 95% dei casi. Si tratta di un intervento molto impegnativo, di solito riservato a casi particolarmente gravi, in alternativa alla CPAP se questa non viene tollerata. Il principale vantaggio di questo intervento è che si tratta di una soluzione definitiva al problema delle apnee del sonno, che non lega il paziente all’uso a tempo indeterminato di apparecchi dentali o della CPAP.
  • Nei soggetti obesi (BMI >30-35) i risultati della terapia con apparecchi dentali sono meno brillanti: di solito l’efficacia tende a diminuire quanto più l’obesità è grave. La terapia con apparecchi dentali può richiedere un avanzamento maggiore della mandibola per funzionare in questi casi, e questo secondo alcuni autori potrebbe accentuare gli effetti collaterali. Secondo altri lavori, invece, non c’è relazione fra entità dell’avanzamento ed effetti indesiderati.
  • Se è presente una ostruzione meccanica importante delle vie aeree è di solito opportuno rimuoverla con interventi di chirurgia otorino-laringoiatrica prima  della applicazione degli apparecchi dentali (o subito dopo): è spesso il caso di ostruzioni significative del naso (deviazione del setto, ipertrofia dei turbinati), della ipertrofia estrema delle tonsille e qualche volta anche della lingua. Alcune cause particolari di ostruzione vanno curate esclusivamente con la chirurgia, che può essere risolutiva (ad esempio alcuni problemi dell’epiglottide). Ricordiamo che nei bambini l’intervento di asportazione di tonsille e adenoidi è la terapia più importante per la OSAS.
  • Perchè gli apparecchi funzionino è necessario che la mandibola possa essere portata avanti di alcuni mm (almeno 5-6mm) senza che questo provochi disturbi muscolari o articolari. Le patologie gravi delle articolazioni temporo-mandibolari sono una controindicazione. Non lo sono le patologie articolari lievi, che al contrario possono migliorare con l’avanzamento della mandibola. E’ quindi necessaria una valutazione attenta delle condizioni articolari e muscolari.
  • Gli apparecchi dentali richiedono appunto un ancoraggio ai denti, i quali devono essere in grado di sopportare le forze esercitate dai muscoli masticatori, che tendono a riportare la mandibola nella sua posizione abituale:
    • In generale sono necessari almeno 8 denti sani per ogni arcata (ma esiste un tipo particolare di apparecchio, il Somnodent, che può essere applicato anche a soggetti privi di denti nella arcata superiore e con pochi denti nella arcata inferiore)
    • Non deve esserci parodontite attiva e i denti non devono essere mobili: queste condizioni possono essere aggravate dall’uso di apparecchi dentali, che quindi può essere controindicato.
    • Gli impianti endoossei invece vanno benissimo come ancoraggio

Che l’ipertensione arteriosa, diurna e soprattutto notturna, sia una possibile conseguenza della sindrome delle apnee del sonno, è un fatto accertato.  Nell’ultimo decennio sono stati fatti diversi studi che dimostrano che la terapia con la CPAP può portare ad una riduzione significativa della pressione arteriosa, ottenendo valori da 4 a 10 mm di mercurio inferiori a quelli di partenza (Pepperell 2002, Becker 2003, Coughlin 2004)

Dal 2004 diversi studi hanno dimostrato che anche con gli apparecchi dentali si possono ottenere risultati simili, e in alcuni casi anche migliori (Gotsopoulos 2004, Barnes 2004, Yoshida 2006, Andrèn 2009)

L’immagine che segue mostra l’evoluzione della pressione arteriosa in un gruppo di 22 pazienti trattati con un apparecchio dentale (monoblocco) e seguiti con controlli della pressione arteriosa dopo 3 mesi e dopo 3 anni di cura.

Nel grafico sono rappresentati i valori della mediana della pressione sistolica (in alto) e diastolica (in basso).

E’ interessante la diminuzione notevole dei valori di pressione (in media 15mm per la sistolica, 10mm per la diastolica) e anche il fatto che la pressione è scesa ulteriormente fra il controllo a tre mesi e quello a tre anni. Nello stesso periodo il valore medio dello AHI è sceso da 16 a 4.

off

Indicazioni

11 maggio 2010 @ 23:50

Riassumiamo di seguito le indicazioni per la terapia con apparecchi dentali suggerite dalla Accademia Americana di Medicina del sonno (AASM). L’articolo che le riassume è di Kushida et al (2006)

1. Pazienti con russamento semplice o apnea ostruttiva lieve che non rispondono o non sono candidati appropriati alle misure di comportamento come perdita di peso o cambiamento della posizione nel sonno.

2. Pazienti con apnea ostruttiva moderata o grave che siano intolleranti o rifiutino il trattamento con la CPAP, e pazienti che rifiutino interventi chirurgici come tonsillectomia con adenoidectomia oppure interventi di chirurgia maxillo-facciale.

3. Nei casi di apnea ostruttiva grave si deve inizialmente tentare di risolvere il problema con la CPAP, che al momento è considerata la misura più efficace. In caso di fallimento si passerà ad altra terapia.

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Se consideriamo che i casi di russamento “semplice” (cioè in assenza di apnee) e di apnea ostruttiva lieve, cioè con valori di AHI inferiori a 15, costituiscono la grande maggioranza dei disturbi respiratori del sonno, si può concludere che la terapia con gli apparecchi dentali è di fatto indicata dalla AASM come rimedio primario per un grande numero di persone.
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Il ruolo degli apparecchi dentali nella terapia della OSAS è stato considerato con una certa perplessità fino a pochi anni fa. Le cause di questo sono state soprattutto:

  • Documentazione modesta, fino ai primi anni ’90,  sulla efficacia di questo trattamento
  • Preoccupazioni sugli effetti collaterali: si temeva che una posizione molto avanzata della mandibola creasse, a lungo termine, problemi articolari e occlusali importanti

Le cose sono cambiate:

  • L’efficacia del trattamento è stata largamente documentata in molti studi di livello anche elevato (livello 1-2 EBM, v Ferguson)
  • Sono stati molto studiati anche gli effetti collaterali a lungo termine, che si sono rivelati rari e molto più modesti di quanto si temesse. Si vedano le revisioni di Hoekema (2004), Ferguson (2006) e Hoffstein (2007)

Riportiamo di seguito le conclusioni di due pneumologi molto noti sul ruolo della medicina odontoiatrica del sonno

  1. Nel 2009 ad Osaka si è tenuto il congresso di fondazione della Asian Society of dental Sleep Medicine. La relazione introduttiva al congresso è stata tenuta da Colin Sullivan, il medico australiano che nel 1980 ha inventato la CPAP. Il titolo della relazione era “The emerging role of dental sleep medicine in sleep disordered breathing“. Nella relazione si sottolinea che i dentisti hanno attualmente 4 ruoli importanti rispetto alla sindrome delle apnee del sonno:
  • Nella diagnosi , sia nei bambini che negli adulti
  • Nella prevenzione (trattamenti ortodontici nell’infanzia)
  • Nella terapia, con gli apparecchi di avanzamento della mandibola
  • Nella terapia, con la preparazione ortodontica alla chirurgia maxillo-facciale

2.  Lo pneumologo canadese Victor Hoffstein ha pubblicato nel 2007 una ampia revisione della letteratura sugli apparecchi dentali. Conclude il suo lavoro notando che gli apparecchi dentali sono attualmente sotto-utilizzati a causa di:

  • Numero insufficiente di dentisti qualificati
  • Difficoltà nelle procedure di rimborso assicurativo

Riportiamo anche il link ad una brochure dedicata ai pazienti dello American College of Chest Physicians, che raccomanda l’uso degli apparecchi dentali nella terapia della apnea del sonno.

Risultati sulla sonnolenza

10 maggio 2010 @ 22:57

Come abbiamo visto la sonnolenza diurna è uno dei sintomi più importanti della sindrome delle Apnee del Sonno (OSAS), ma può essere causata anche dal russamento “semplice” o dalla forma intermedia nota come UARS.  E’ una delle conseguenze più rilevanti dei disturbi respiratori del sonno per il rischio aumentato di incidenti stradali e sul lavoro. Di conseguenza è fondamentale valutare gli effetti sulla sonnolenza delle terapie effettuate.

Le revisioni della letteratura sugli apparecchi dentali mettono in evidenza risultati soddisfacenti, di solito sovrapponibili a quelli ottenuti con la CPAP, per tutte le valutazioni sulla sonnolenza e in generale per i test neuro-cognitivi (Hoekema 2004, Ferguson 2006).  La maggior parte delle valutazioni sono state effettuate utilizzando la scala di Epworth o altri test soggettivi, cioè basati sulle valutazioni del paziente o del partner. Va detto che nei casi in cui è stata eseguita una valutazione obiettiva con misurazioni effettuate dai medici, come il test MSLT, i risultati sono stati simili: in generale la scala di Epworth viene considerata un indice fedele della situazione.

Hoffstein ha esaminato, sullo specifico tema della sonnolenza, un gruppo di articoli che valutano 854 casi. il punteggio della scaladi Epworth si è ridotto da una media di 11,2 (prima) a 7,8 (dopo la cura con apparecchi dentali).

Fra i lavori originali sul tema, lo studio di Smith e Battagel (2004) è  interessante perchè dimostra una diminuzione della sonnolenza in un gruppo di “russatori semplici”, cioè in assenza di OSAS, trattati con un apparecchio dentale.

Negli ultimi anni alcuni studi hanno valutato la sonnolenza, oltre che con criteri soggettivi, anche con tests obiettivi. Ad esempio in una ricerca olandese (Hoekema et al. 2007) un gruppo di soggetti con OSAS grave (AHI medio di 50) è stato sottoposto ad un test di simulazione di guida dell’auto su tracciato noioso; le performances erano nettamente peggiori di quelle di soggetti senza OSAS; dopo terapia con apparecchi dentali il livello di attenzione era normalizzato, e il risultato era identico a quello ottenuto con la CPAP.  Buoni risultati sono stati conseguiti nel 2009 dal gruppo di Gagnadoux. Qui la vigilanza diurna è stata misurata con il test OSLER, un sistema di valutazione obiettiva che misura le latenze del sonno e il numero di errori compiuti, e con diversi altri test; anche in questo studio i risultati ottenuti con gli apparecchi dentali  sono stati praticamente identici a quelli ottenuti dalla CPAP.

Diagnosi

7 maggio 2010 @ 23:21

La prima cosa da dire su questo argomento è che la presenza di apnee del sonno va sempre valutata in presenza di russamento o di altri sintomi sospetti, e  soprattutto che nessuno deve essere sottoposto a terapie di qualsiasi tipo contro il russamento  senza che sia  stata ricercata la presenza di apnea del sonno. Se si omette questa precauzione si corre il rischio di “silenziare ” il paziente senza risolvere il problema dell’apnea: così avremo soppresso il principale segnale di allarme, e il nostro paziente potrà continuare a soffocare senza più dar fastidio a nessuno!

A questo proposito va notato che spesso un forte russatore può essere giudicato “migliorato” dal partner proprio perchè ha iniziato a soffrire di apnee del sonno: quanto più è grave la forma di apnea tanto meno il soggetto respira, e quindi il russamento diventa sempre più intermittente (limitato alle fasi di iperventilazione); perciò risulta essere meno fastidioso per il partner.

La diagnosi di sindrome delle apnee del sonno è basata:

1) Sulla raccolta di informazioni in possesso del paziente e del suo partner, che permettono di sospettare la malattia

2) Sulla visita medica, orientata alla valutazione della situazione generale e locale del paziente (esame della bocca, del naso e della faringe). Questa visita può essere integrata, quando necessario, da ulteriori esami specialistici che permettono di valutare meglio bocca naso e faringe.

3) Sui dati strumentali, ricavati dalla polisonnografia o dal monitoraggio del sonno, che permettono di confermare o escludere il sospetto diagnostico.

In questa pagina approfondiamo invece quali sono le domande da fare per sospettare l’apnea. in generale i sintomi maggiori della sindrome delle apnee del sonno sono:

  • Russamento abituale
  • Sonnolenza diurna
  • Apnee (testimoniate dal partner)
  • Risvegli notturni con senso di soffocamento

I segni obiettivi più importanti  sono invece

  • Obesità, o comunque aumento di peso significativo in tempi recenti
  • Circonferenza del collo maggiore di 43 cm per gli uomini e di 41 cm per le donne
  • Mandibola piccola o posizionata indietro rispetto al mascellare superiore (“mento sfuggente”)

Per indagare questi sintomi, e altri  sintomi definiti “minori”, che comunque sono utili per valutare la malattia, sono stati creati numerosi test e questionari. Si veda la pagina “I nostri test” quelle correlate (una per ogni test), e le pagine “domande e risposte“, “questionario” e “consultazione gratuita“.

Apnee del sonno

@ 22:42

Nel capitolo sul russamento abbiamo esaminato il meccanismo che porta alla ostruzione parziale delle vie aeree. Quando l’ostruzione delle vie aeree diventa più grave, si arriva alla chiusura  parziale o completa, illustrata nelle figure che seguono. Si parla allora di sindrome delle apnee ostruttive del sonno, nota anche come OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome).

I meccanismi sono gli stessi già descritti per il russamento.

Come introduzione “leggera” all’argomento vi suggeriamo un video su un epidodio di apnea del sonno (con drammatizzazione musicale) comparso un anno fa su Youtube. Dura circa un minuto e fa capire abbastanza bene cosa succede al paziente in questa situazione. Oppure il video che abbiamo pubblicato da poco “Apnea del sonno in 4 minuti“, che spiega più diffusamente il problema e comprende anche il tracciato cardio-respiratorio del sonno.

Va notato che nei soggetti con OSAS il calibro delle vie aeree è diminuito ancor più che nei russatori (Schwab 1993, 2003, Schwab-Strohl 2003), ma la attività neuromuscolare di base è maggiore che nei soggetti senza OSAS (Fogel et al. 2001, Malhotra et al.2002). Questo consente una respirazione normale finchè il soggetto è sveglio, ma nel sonno il tono muscolare diminuisce, il calibro delle vie respiratorie si riduce, la mandibola cade all’indietro e ruota (spesso la bocca è aperta) e le vie aeree superiori si chiudono (Clark et al 1996, Thornton 1998).

Vie aeree ostruite

Particolare delle vie aeree ostruite

Se la chiusura è parziale si determina una riduzione del flusso aereo (ipopnea). Quando la faringe si chiude completamente, la respirazione cessa (apnea). Questa situazione è potenzialmente mortale. Man mano che l’apnea procede, l’ossigeno nel sangue diminuisce (ipossiemia) e la anidride carbonica aumenta (ipercapnia): il cervello viene avvertito di ciò, e invia una sorta di messaggio di allarme (liberando adrenalina e aumentando l’attivazione del cosiddetto sistema simpatico).

La conseguenza più importante è il risveglio del cervello stesso (“arousal“) che provoca l’attivazione dei muscoli dilatatori della faringe (quelli che si rilassano nel sonno) e quindi la sospensione dell’apnea: il soggetto effettua di solito tre o quattro respiri fragorosi, e l’ossigenazione torna a livelli accettabili. I risvegli sono nella grande maggioranza dei casi di brevissima durata, e non vengono ricordati al mattino. Qualche volta invece il paziente si sveglia con la sensazione di soffocare (del tutto realistica), e questo è un sintomo importante di probabile sindrome delle apnee del sonno.

Dopo il risveglio la situazione si normalizza, il sonno torna profondo, le vie aeree possono di nuovo chiudersi per effetto del rilassamento muscolare, e il ciclo ricomincia. Questa situazione di “va e vieni” fra periodi di apnea e momenti di iperventilazione può ripetersi anche centinaia di volte nel corso di una notte.

Se esaminiamo il filmato di un paziente con una forma grave di apnea del sonno (ad esempio “Apnea del sonno in 4 minuti“, oppure “What is sleep apnea”),  la cosa sorprendente è che il paziente sia ancora vivo dopo una notte passata quasi senza respirare.

Gli effetti dannosi causati da questa situazione sono parecchi, e spesso gravi.  Li esaminiamo nelle pagine dedicate alle conseguenze delle apnee del sonno.

Russamento

@ 22:23

Se non c’è ostruzione delle vie aeree, il flusso dell’aria nelle prime vie respiratorie è tranquillo (flusso laminare) e quindi silenzioso.

Vie aeree normali
Particolare delle vie aeree

In posizione supina le vie aeree si restringono leggermente (Masumi et al. 1996). Durante il sonno c’è una diminuzione della attività dei muscoli dilatatori della faringe, e quindi tutte le pareti della faringe tendono a restringersi ulteriormente rispetto allo stato di veglia.  Questo accade in tutte le persone senza distinzione, è un fenomeno fisiologico. Davidson 2003, Trudo et al. 1998)

Però le vie aeree possono essere più strette del normale per cause anatomiche: depositi di grasso, tonsille molto ingrossate, palato molle (ugola) lungo e spesso, mandibola piccola…

oppure per cause funzionali (alcool, farmaci sedativi..). In questo caso le strutture possono diventare, nel sonno, ancora più strette: il flusso dell’aria diventa turbolento, si crea una vibrazione dei tessuti molli delle vie aeree,  che produce il rumore che conosciamo come russamento. Anche l’ostruzione del naso acuta (raffreddore) o cronica (deviazione del setto, ipertrofia dei turbinati) può determinare indirettamente il russamento: se respiriamo a bocca aperta la mandibola tende a cadere più facilmente all’indietro, restringendo le vie aeree.

Va notato che il rumore del russamento può essere prodotto dalla vibrazione di una qualsiasi delle strutture coinvolte: non solo il velo del palato (come si credeva anni fa) ma anche lingua,  pilastri tonsillari, pareti laterali della faringe, epiglottide, e anche le secrezioni della mucosa, possono vibrare e produrre rumore.

Nel russamento si ha quindi una situazione intermedia fra quella delle figure appena viste (vie aeree normali) e quella  qui sotto, che rappresenta l’ostruzione completa delle vie respiratorie.

Vie aeree ostruite

Una conseguenza importante della OSAS è la forte pressione negativa che si crea all’interno del torace. Provate ad inspirare con forza tenendo la bocca e il naso chiusi: avvertirete nettamente la sensazione di “aspirazione” che è significativa proprio di questa forte pressione negativa, che si esercita nel tentativo di respirare malgrado l’ostruzione delle alte vie aeree. Una caratteristica della sindrome delle apnee del sonno è il movimento “paradossale”, cioè scoordinato, di torace e addome: il diaframma e la gabbia toracica si muovono così in controtempo fra loro, e il risultato visibile è un movimento simile a quello che si ha nel singhiozzo.

Le conseguenze di questa alterazione di pressione si esercitano sia modificando fortemente la dinamica della circolazione del sangue (aumento del pre-carico e del post-carico del cuore, vedi conseguenze dell’ipossia), sia determinando la aspirazione del contenuto gastrico nell’esofago (reflusso gastro-esofageo). Questo ritorno verso l’alto avviene quando la capacità del cosiddetto “sfintere esofageo inferiore” di impedire la risalita di liquidi dallo stomaco viene superata. E’ ovvio che a pari “tenuta” della barriera antireflusso, quanto maggiore è la pressione negativa, tanto maggiore sarà il rischio di reflusso.

I pazienti con OSAS hanno quindi un rischio elevato di reflusso gastro-esofageo, dimostrato da diversi studi. Il reflusso è stato studiato in modo dettagliato solo negli ultimi anni. I sintomi vengono classificati in due tipi:

  • Sintomi tipici, noti da molto tempo, sono:
    • la pirosi (senso di bruciore che dalla parte alta dell’addome tende a risalire verso la parte bassa del torace)
    • il rigurgito (risalita di materiale contenuto dello stomaco fino alla faringe o anche alla bocca, in assenza di nausea o vomito, spesso favorita dalla posizione orizzontale)
  • Sintomi atipici,  in buona parte studiati in tempi recenti, sono:
    • Esofagei: soprattutto deglutizione difficoltosa (disfagia) o dolorosa (odinofagia)
    • Extraesofagei: faringite cronica (che va differenziata dalle faringiti infettive o allergiche), laringite cronica associata o meno a disturbi della voce (disfonia, raucedine), tosse cronica, episodi di risvegli notturni con senso di soffocamento (tipici anche delle apnee), senso di corpo estraneo in gola, asma bronchiale (i rapporti con  il reflusso sono complessi ma ormai documentati), dolore toracico (che va differenziato dal dolore cardiaco), erosioni dentarie a forma rotonda (frequenti anche nei giovani affetti da anoressia/bulimia, per analoga presenza di materiale acido in bocca).

Come si vede si tratta di una sintomatologia molto complessa, facilmente confondibile con quella di diverse malattie e spesso causata dal sommarsi di diverse condizioni patologiche (reflusso + asma, reflusso + OSAS e così via). Non tutti i soggetti con reflusso hanno la OSAS, e non tutti i pazienti con apnee hanno reflusso, ma certamente le due condizioni si aggravano reciprocamente, come descritto ad esempio nei due studi seguenti:

  • Il lavoro di Green et al (2003) ha dimostrato, su una popolazione di 331 pazienti affetti da apnee del sonno, la presenza di reflusso nel 62% dei casi. Inoltre lo stesso studio ha dimostrato un netto miglioramento della sintomatologia da reflusso nei soggetti che hanno effettuato terapia con la CPAP (riduzione del 50% del punteggio specifico), mentre quelli che non hanno seguito lo stesso trattamento non hanno avuto miglioramenti.
  • Un altro studio (Friedman et al, 2007) ha dimostrato che, trattando il reflusso con farmaci specifici, si ottiene una (moderata) riduzione delle apnee anche senza terapia specifica per la OSAS. Insomma le due patologie si influenzano reciprocamente in entrambi i versi (miglioramento e peggioramento).